lunedì 6 marzo 2017

La Falena ninja, ovvero di come fare "Ce l'ho, ce l'ho... manca!" coi sintomi - Parte I

Il tram era verde e bianco, e si dirigeva verso l'attraversamento pedonale alla velocità di crociera di Usain Bolt; la borsa mi segava la spalla, e sentivo le palpebre pesanti.
Il vestito che indossavo mi si allargava intorno, mentre l'anno prima sarebbe stato (com'era giusto) aderente. Ogni giorno, sforzandomi per uscire dal pigiama, mi pareva di avere addosso la pelle di un vecchio elefante, che non ero io.
Nel giro di mezz'ora avevo saputo di dover lasciare l'ufficio dove mi trovavo bene e svolgevo un mansionario interessante, per trasferirmi in un altro settore di cui non sapevo nulla e il cui direttore aveva fama d'essere un Cerbero; dopo un fugone nel bagno, diventato il mio ultimo bastione di difesa dove rifugiarmi per non farmi vedere triste e ogni volta che mi assalivano gli attacchi di calore che mi facevano arrossare la faccia prima di ogni pianto, mi è squillato il telefono.
Uno dei miei migliori amici era improvvisamente deceduto. 





"Ding, ding!".

Dovevo attraversare l'incrocio, col semaforo rosso per i pedoni. Il tram arrivava senza fermarsi e senza rallentare, come ogni mezzo su rotaia.
Ho alzato la gamba. Pesava come la borsa sulla mia spalla.
In fondo, le ruote non si vedevano neanche, e probabilmente non avrei sentito niente. Perché comunque a parte il peso, dappertutto, non sentivo più niente da un sacco. 
All'improvviso mi sono sentita afferrare alle spalle.
"Faccia attenzione, signorina!"
"Mi scusi" ho sorriso. "Sono molto sbadata".
Porco cazzo. Ho un problema.
***

Ammettiamolo: quando una persona comincia con perdere peso e capelli, può anche credere semplicemente di essere un po' stressata. Peraltro, io ho sempre avuto la tendenza ad essere ipertiroidea, quindi il peso che fa yo-yo verso il basso non è mai stata una faccenda granché preoccupante.
Quando alla perdita di peso si sono aggiunti disturbi del sonno mai avuti prima (dall'insonnia ai terrori notturni, a sogni inquietanti in cui orde di nutrie antropofaghe cercavano di stanarmi da una trincea in cui io e i miei genitori aspettavamo la morte), ho pensato fossero gli strascichi della fatica da laurea.
Poi ho iniziato a smettere di truccarmi: ma mi svegliavo al mattino presto con fatica per fare cinquanta chilometri da pendolare, quindi poteva anche starci.
Lentamente ma inesorabilmente la "fatica" di alzarsi ha iniziato ad assomigliare allo sforzo necessario alla scalata del Nanga Parbat. Dalla parete nord. 
Anche altre cose sono andate in vacanza: l'ispirazione, la fame, la capacità di godersi una serata tranquilla davanti a uno sparatutto. Non vi sto a descrivere cos'è successo a generi di appetiti non collegati al cibo, ma ammetto onestamente che in confronto il panda soffre di ipertrofia sessuale incontrollata. 

La panacea universale. Ne ho finite tre confezioni,
prima di accorgermi che non serviva a un accidente
tranne che a farmi esalare rutti al gusto di sangue
rigurgitato. 
In compenso, a farmi compagnia erano arrivati tanti simpatici amici: calvizie a chiazze, crisi di pianto e strani momenti in cui mi sentivo assalire da vampate di caldo, seguite da una specie di fischio nelle orecchie e una sensazione di terrore paralizzante (che mi impediva di respirare bene). 
Non avevo mai avuto attacchi di panico prima: credevo fosse qualcosa legato alla pressione bassa, che si poteva curare con integratori a base di ferro e pappa reale. 
Quest'ultimo rimedio in particolare era pubblicizzato da mio padre con convinzione: ogni mattina, prima di iniziare i suoi assurdi esercizi ginnici, a digiuno me ne somministrava un cucchiaio abbondante. 

Mia madre, invece, si era persuasa che la mia generale apatia, mancanza di voglia di fare tranne dormire tutto il giorno e stare sveglia di notte a guardare per aria, fossero frutto sicuramente di un qualche squilibrio diagnosticabile con esami ematici e radiografie alla tiroide.
Lui sì che ha capito tutto dalla vita: dorme, mangia,
casa sua è identificata unicamente nel suo letto,
e il resto del tempo occasionalmente tromba. Ma
a bassa intensità, ché deve digerire. 
Dopo essermi fatta succhiare tanto sangue da poterci mantenere Dracula, Carmilla e l'intera famiglia di vampiri sbrilluccicosi di Twilight, non è emerso niente di diverso dal mio profilo patologico abituale: non avevo anticorpi bassi, ferro sotto i tacchi, o una devastante malattia linfatica tale da crearmi il desiderio di adottare lo stile di vita del koala. 
Oddio, ci sarebbero mille e uno motivi per voler adottare lo stile di vita del koala (i principali elencati sotto la foto a destra), ma sicuramente nel mio sangue non ce n'era alcuna traccia.

Nel frattempo, non avevo mollato le sedute dalla Dottoressa, la quale insisteva dicendo che la Falena mi era saltata addosso.
Mi aveva consigliato anche di rivolgermi a un professionista, per farmi dare un aiuto farmacologico ben ponderato.
Ostinatamente, io continuavo a rifiutarmi: non importava che i miei avessero cacciato centinaia di cocuzze in integratori, complessi multivitaminici, improbabili diete a base di crostacei (che adoro ma che, misteriosamente, non avevo alcun desiderio di mangiare) e succhi di verdura, e soprattutto la pappa reale.
No pappa reale, no party. 
Intanto, un altro compagno ha iniziato a farsi strada accanto a me: fino a quel momento praticamente uno sconosciuto, ma che ora ogni due minuti saltava fuori dalla mia tasca.

Non so quanti di voi - voi chi?, tra l'altro: io continuo a rivolgermi a un invisibile pubblico di compagni di avventura attaccati dalla Falena, o che sono incuriositi dalla connessione tra i San Bernardo, i ninja e l'entomologia d'assalto... - siano nati negli anni '80, o primissimi anni '90, ma la gran parte delle infanzie delle ragazze (e di molti ragazzi: potete anche ammetterlo,  ormai siete adulti, anche se Poletti non se ne accorge) è stata dominata da lei:


La fantastica, cazzutissima, megagnifica Lady Oscar
Protagonista di un cartone animato e di un fumetto che ha persuaso definitivamente la mia generazione della superiorità intellettuale dei giapponesi, aveva tutto dalla vita: capelli lunghi e biondi, una carriera figa, un uomo che le moriva dietro, e soprattutto nessun maschio doveva mai correre a salvarla. 
Non ne aveva bisogno: che fossero assassini rivoluzionari prezzolati, duchi con l'hobby del golpe o ladri di gioielli, lei prontamente accorreva con la sua fida spada e la sua antidiluviana pistola ad avancarica e faceva a tutti il culo a strisce.
Come corollario, la storia aveva anche altri personaggi: alcuni positivi, altri negativi, altri con la profondità intellettuale di un sarago immerso in una chiazza di petrolio iracheno, e una, in particolare, così irritante e insopportabile da farmi tifare per Robespierre unicamente nella speranza che il Terrore ne facesse piazza pulita. Rosalie Lamorliére. Unico contributo alla trama di quest'Anticristo biondo ambulante era:
Rosalie con la sua tipica espressione da Dawson Leery
intenta nella sua attività preferita: piangere sul
latte da LEI stessa versato. 
  1. Creare insormontabili problemi alla protagonista, che doveva poi rischiare la pelle per tirarsene fuori;
  2. Piangere sul punto 1.
Ecco: con mio sconcerto, in quei giorni Rosalie ero io.
Una bambina tornava a casa dando la mano a suo nonno? Piangevo.
Mia nonna mi preparava l'ossobuco coi funghi? Piangevo.
Il mio capo mi trattava come un'incapace senza motivo? Piangevo.
Facendo zapping incappavo in una vecchia puntata di "Detective Conan"? Piangevo.
Per un qualche motivo mi trovavo divorata da una tensione terribile? Piangevo.
Uno schifo. Non mi riconoscevo più. 

Una cosa interessante è che le crisi di Rosalite mi venivano soprattutto al mattino. Alla sera ero troppo stanca e abbattuta per piangere, ma in qualche modo ne avevo anche meno bisogno perché un giorno in fondo era alle mie spalle. 

Sprizzavo allegria da ogni poro.

***

Nella prossima puntata: sintomi da manuale, il giochino delle cinque persistenze, il ninja smascherato dall'Invincibile Shogun, e l'inizio dell'attacco col DDT. Ma forse no. 

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